La frequenza di rimbalzo è uno degli aspetti che dà del filo da torcere a chi gestisce un sito web, sia per il fenomeno in sé che per la sua ambiguità: non esiste infatti un valore assoluto a cui far riferimento, perché il bounce rate dipende da molti fattori e anche dalla tipologia del sito.

Per questo motivo, riscontrare un bounce rate elevato non necessariamente significa che il sito non funziona, anche se tendenzialmente un tasso molto alto potrebbe dipendere da alcuni errori e problemi anche a livello di SEO on page.

Ok, ma sostanzialmente che cos’è il bounce rate? Che cosa misura? Perché è così impostante considerare questa metrica?

Che cos’è il bounce rate

L’espressione bounce rate indica letteralmente il tasso di rimbalzo, ovvero la percentuale di visitatori che lasciano il sito Web dopo aver visualizzato solo una pagina, rimbalzando e tornando dietro verso la pagina dei risultati di ricerca o sul sito Web da cui partiva il link in uscita.

Dal punto di vista matematico la frequenza di rimbalzo rappresenta il rapporto tra le sessioni di una sola pagina (il numero totale di utenti che visualizza una sola pagina) e il totale delle sessioni (il numero totale di entries sulle pagine del sito).

È una metrica importante per analizzare il traffico del sito e avere una prima idea del comportamento degli utenti rispetto ai contenuti proposti.

Frequenza di rimbalzo: che cosa è e che cosa misura

I valori di bounce rate

Come già accennato non esistono valori fissi per stabilire la frequenza di rimbalzo ottimale, anche perché il termine stesso è relativo e varia come detto in base alla tipologia di sito. In linea di massima, un tasso di abbandono basso significa che gli utenti apprezzano l’organizzazione dei contenuti e l’aspetto grafico del sito, che li convincono a continuare l’esplorazione di altre pagine.

Nel concreto

Bisogna chiarire a questo punto che il bounce rate non misura il tempo che un utente spende sulla pagina di un sito né l’user engagement: questo è un fattore che crea parecchia confusione.

Infatti è possibile che un sito proponga una pagina di qualità e molto engaging ma, al tempo stesso, abbia una elevata frequenza di rimbalzo, proprio perché questa metrica non calcola la durata delle sessioni sul sito.

Quindi, alla definizione prima fornita potremmo aggiungere per precisare: il bounce avviene ogni volta che un utente entra sul sito, legge una pagina e il sistema di analisi non registra altri segnali utili, perché la persona clicca sulla freccia back del browser, chiude la finestra stessa del browser, clicca su un link esterno o utilizza la barra di ricerca del browser per spostarsi verso altri siti e altri URL.

La frequenza di rimbalzo ideale

Sulla base di questi concetti, il team di RocketFuel ha preso in esame un campione ristretto di siti per studiare la media del bounce rate e provare a stimare i valori “buoni”. Da questo studio emerge che la maggior parte dei siti web ha una frequenza di rimbalzo compresa tra il 26 e il 70 per cento, e più in dettaglio che è possibile visualizzare una sorta di sistema di classificazione della frequenza di rimbalzo:

  • 25% o inferiore: qualcosa è probabilmente rotto (sbagliata installazione di Google Analytics, ad esempio).
  • 26-40%: eccellente. È un valore indicativo di un sito ben costruito e disegnato professionalmente, che incontra le necessità degli utenti.
  • 41-55%: medio.
  • 56-70%: più alto del normale, ma potrebbe avere senso a seconda del sito web
  • 70% o superiore: valore molto alto, che potrebbe indicare problemi al sito (ma anche essere legato alla specificità delle pagine).

In genere, si ritiene che un bounce rate molto alto indichi che la maggior parte dei visitatori che arrivano sul sito non sono realmente interessati al contenuto proposto (e posizionato in SERP), oppure che non hanno apprezzato il design o ancora che non hanno trovato quello che stavano cercando. Ma anche avere un bounce rate pari a 0 o sotto alla soglia del 25% può essere un problema: tali valori dipendono come detto da un errore nell’implementazione delle analitiche, oppure da una modalità di costruzione del sito che forza gli utenti a compiere almeno una azione prima di uscire (ad esempio landing page attraverso cui passare prima di giungere al sito principale), inficiando comunque l’esperienza degli utenti stessi.

In linea di massima, quindi, un valore elevato di frequenza di rimbalzo (calcolata in modo corretto) è un sintomo di problemi più profondi al sito, e in particolare di user experience non ottimale o scarso targeting delle pagine, da cui possono quindi scaturire conseguenti difficoltà SEO.

Capire se il bounce rate di un sito è troppo alto

Ma, come dicevamo, molto dipende dal sito perché le metriche prese singolarmente e non contestualizzate in un progetto e in una strategia non sono realmente utili.

Per esempio, gli utenti di un sito che è incentrato sugli eventi vogliono spesso soltanto conoscere il giorno, l’ora, la location dell’evento di interesse: quando hanno ottenuto le informazioni (e magari nel minor tempo possibile), lasciano la pagina e il sito. Quindi, il bounce rate di quel sito sarà inevitabilmente alto, ma non rappresenta un fattore critico perché intercetta a pieno le esigenze dei suoi utenti reali.

Per un eCommerce, invece, i clienti probabilmente si soffermeranno un po’ di più e quindi idealmente la frequenza di rimbalzo dovrebbe essere più bassa; rimbalzi in salita sono un segnale che potrebbe allarmare i siti di shopping online perché indica che gli utenti lasciano il sito molto velocemente e quasi sicuramente questo si traduce in meno vendite (ma bisogna sempre analizzare le effettive conversioni per averne certezza).

La frequenza di rimbalzo medio per categoria di sito

Quindi, in linea di massima, nelle pagine di blog la frequenza di rimbalzo si attesta generalmente tra il 70 e il 90 per cento, per i siti informativi scende al 40-60 per cento e per i siti che offrono servizi dovrebbe restare tra il 10-30 per cento. Per un eCommerce, in particolare, il bounce rate medio è del 33,9 per cento.

Google stesso chiarisce che un’elevata frequenza di rimbalzo non è sempre un problema o “male”, perché dipende a seconda del sito in esame. Se il successo del sito “dipende dal fatto che gli utenti visualizzano più di una pagina, allora sì, una frequenza di rimbalzo elevata è un male”, spiegano da Mountain View, perché per esempio se la “home page è la porta d’accesso per il resto del sito (ad es. per nuovi articoli, pagine dei prodotti, elaborazione del checkout) e un’elevata percentuale degli utenti visualizza solo la tua home page, un’elevata frequenza di rimbalzo non sarà un obiettivo a cui mirare”. Al contrario, “se hai un sito di una sola pagina come un blog o se offri altri tipi di contenuti per cui ti aspetti sessioni di una sola pagina, allora un’elevata frequenza di rimbalzo è perfettamente normale”, ci rassicurano.

Bounce rate elevato: le cause più frequenti

A ogni modo, anche se non influisce direttamente sul ranking e non è necessariamente problematica, la frequenza di rimbalzo è un elemento che deve essere controllato e analizzato all’interno di una strategia SEO consapevole: un valore elevato, se calcolato e contestualizzato correttamente, può infatti essere un sintomo di problemi più profondi del sito, come carenze nella user experience o un cattivo targeting degli utenti, e più in generale è una spia di debolezze nella SEO.

Comprendere la metrica della frequenza di rimbalzo

Per interpretare in modo corretto la metrica del bounce rate bisogna analizzare:

  • Intento e comportamento degli utenti, modalità di interazione con le pagine.
  • Tipologia di sito.
  • Tipologia e qualità di landing page.
  • Tipologia di contenuti.
  • Tipologia di settore.
  • Qualità del traffico.
  • Tipologia di canale di marketing.
  • Tipologia di visitatore.
  • Tipologia di dispositivo usato.

Se, al netto di tutte queste valutazioni, il bounce rate è elevato e negativo, è il momento di intervenire: tra i più frequenti ci possono essere una bassa velocità di caricamento delle pagine, un design delle pagine di bassa qualità, mancata corrispondenza tra contenuto e keyword, scarsa ottimizzazione mobile e così via.

Concentrarsi solo sul bounce rate e provare a correggere il tasso non serve però a risolvere il problema di fondo. È invece importante capire perché la frequenza di rimbalzo è alta e risolvere le criticità riscontrate, perché questo lavoro di ottimizzazione ha un maggior senso (e produce maggiori risultati) per le prestazioni del sito.

Come ridurre il bounce rate

Esistono alcune best practices che possono servire per risolvere i problemi.

Il primo intervento è sul rapporto tra contenuto e snippet di Ricerca: qualunque cosa tu stia pubblicizzando nelle SERP, i tuoi contenuti devono corrispondere ed essere all’altezza. Quindi, non chiamare la tua pagina “una guida definitiva” se si tratta di un post breve con tre suggerimenti, non pretendere di essere il ‘miglior prodotto’ se le recensioni degli utenti mostrano una valutazione a 3 stelle e così via.

Una grande attenzione deve essere dedicata agli aspetti tecnici: il sito deve essere veloce, gli elementi non essenziali ridotti e la navigazione all’interno del sito (o di una lunga pagina di contenuti) ottimizzata, perché tutti questi elementi possono contribuire a fornire un’esperienza migliore alle persone, incentivate a restare sul sito e a non abbandonarlo immediatamente.

L’ottimizzazione on page in questo senso è di fondamentale importanza, così come una strategia preventiva e tarata specificatamente sul singolo sito web.

Parlami del tuo progetto e abbattiamo la frequenza di rimbalzo!